Parole di vita

Capitolo 15

La speranza della vita

[AUDIO]

Quando "i pubblicani e i peccatori" si raccoglievano intorno a Gesù, i rabbini manifestavano apertamente la loro indignazione esclamando: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro".

Insinuavano cioé che Cristo amasse la compagnia di individui peccatori e corrotti e che fosse insensibile alla loro malvagità. Gli scribi erano rimasti delusi da Gesù. Come mai lui che pretendeva di avere un carattere così elevato non li frequentava, adottando anche i loro metodi nell'ammaestrare gli altri? Perché andava in giro cosi modestamente, lavorando tra gente di qualunque classe sociale? Se fosse stato un vero profeta, pensavano, si sarebbe inteso benissimo con loro, trattando invece pubblicani e peccatori con l'indifferenza che meritavano. Questi guardiani della società si irritavano che Gesù, con il quale erano in continuo contrasto, ma la cui purezza di vita li spaventava e nel contempo costituiva un rimprovero per loro, manifestasse evidente simpatia per quegli emarginati. Non approvavano i suoi metodi. Personalmente si ritenevano colti, raffinati ed eminentemente religiosi, ma l'esempio di Cristo smascherava il loro egoismo.

Li irritava inoltre il fatto che, proprio quelli che mostravano profondo disprezzo per i rabbini e che non avevano mai frequentato le sinagoghe, si accalcassero intorno a Gesù per ascoltare, rapiti ed attenti, le sue parole. Di fronte alla purezza di Cristo scribi e Farisei si sentivano perduti e condannati, ma come si spiegava che i pubblicani ed i peccatori fossero tanto attratti da lui?

Senza rendersene conto loro stessi l'avevano spiegato osservando con disprezzo: "Costui accoglie i peccatori". Molti andavano a Gesù perché sentivano, alla sua presenza, che c'era anche per loro la speranza di uscire dall'abisso del peccato. Mentre i Farisei avevano in serbo per loro solo disprezzo e condanna, Cristo li accoglieva come figli di Dio che si erano allontanati dalla casa paterna, ma che il Padre non aveva dimenticati. Proprio perché si trovavano in quello stato di miseria e di peccato avevano maggiormente bisogno della sua compassione. Quanto più si erano allontanati da lui, tanto maggiore era il suo desiderio e più grande il suo sacrificio per salvarli.

I maestri d'Israele avrebbero potuto apprendere tutto questo dagli scritti sacri di cui andavano fieri in qualità di custodi ed interpreti. Dopo il suo peccato mortale, non aveva scritto Davide stesso: "Io vo errando come pecora smarrita; cerca il tuo servitore"? Salmi 119:176. Non aveva messo in evidenza l'amore divino anche Michea quando esclamava: "Qual Dio è come te, che perdoni l'iniquità e passi sopra alla trasgressione del residuo della tua eredità? Egli non serba l'ira sua in perpetuo, perché si compiace d'usar misericordia"? Michea 7:18.

La pecora smarrita

Invece di rifarsi alle parole della Scrittura Cristo fece ricorso in questa parabola all'esperienza stessa degli ascoltatori. I vasti altopiani situati ad est del Giordano offrivano ricchi pascoli alle greggi, e capitava spesso che una pecora si smarrisse fra le gole e le colline boscose dove solo un pastore premuroso e infaticabile riusciva a ritrovarla e riportarla all'ovile. Fra gli ascoltatori di Gesù c'erano pastori e proprietari di greggi e armenti che intendevano il suo paragone: "Chi è l'uomo fra voi, che, avendo cento pecore, se ne perde una, non lasci le novantanove nel deserto e non vada dietro alla perduta finché non l'abbia ritrovata?" Luca 15:4.

Anche queste persone che voi disprezzate, voleva dire Gesù, appartengono a Dio, sono sue perché le ha create e redente e rimangono preziose ai suoi occhi. Come il pastore ama le pecore e non si dà pace se gliene manca una sola, così il Padre ama gli esseri più abietti ed emarginati, ma in misura infinitamente più grande. L'individuo può ribellarsi contro questo amore, allontanarsi da lui e scegliersi un altro maestro, nondimeno egli resta proprietà di Dio che vuole assolutamente recuperare il suo. Dio dice: "Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore, e le ritrarrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre". Ezechiele 34:12.

Il pastore della parabola va alla ricerca di un'unica pecora, il minimo numero possibile, e anche Cristo sarebbe morto per una sola anima perduta.

La pecora smarrita e lontana dal gregge è la creatura più sprovveduta ed il pastore deve andare a cercarla perché da sola non saprebbe ritrovare la via del ritorno. Similmente chi si allontana da Dio è debole come la pecora smarrita e non saprebbe ritornare a Dio senza l'intervento dell'amore divino.

Quando il pastore si accorge che una pecora manca, non sta a guardare con noncuranza il gregge che è rimasto al sicuro, dicendo "Ne ho altre novantanove e mi costerebbe troppo andarne a cercare una che si è smarrita. Aspetterò che torni indietro, e quando sarà arrivata, le aprirò la porta dell'ovile e la farò entrare". Niente affatto! Non appena nota l'assenza dell'animale, comincia a preoccuparsi e a rattristarsi, conta e riconta il gregge, e quando è sicuro che una pecora non c'è, invece di mettersi a dormire, lascia le novantanove nell'ovile e va in cerca di quella perduta. Man mano che la notte si fa più buia e tempestosa e la via più pericolosa, cresce la sua ansia ed il suo fervore nel ricercarla, non bada a sforzi e a fatiche finché non la ritrova.

Con quale sospiro di sollievo ascolta in lontananza il suo primo tenue lamento! Lo segue, si arrampica per i pendii più ripidi, avanza fino all'orlo del precipizio a rischio della propria vita. Continua le sue ricerche, mentre il belato sempre più flebile gli fa capire che la sua povera bestia sta morendo. Ma alla fine i suoi sforzi sono premiati e ritrova la pecorella! Non la sgrida per avergli procurato tanti guai, non la caccia davanti a sé con la frusta, non tenta nemmeno di ricondurla all'ovile: dalla gioia si carica sulle spalle quella creatura tremante, la prende fra le braccia se è ferita o contusa, se la stringe al petto per rianimarla col calore del suo corpo. Grato per non averla cercata invano, la riporta al gregge.

Grazie a Dio Cristo non ci presenta qui l'immagine di un pastore che deve ritornarsene triste e a mani vuote. La parabola non ci parla di un fallimento, bensì di successo e gioia per il ritrovamento! Ecco la garanzia che Dio non ignorerà una sola pecora smarrita del suo gregge, né che l'abbandonerà in balia di se stessa. Cristo trarrà dall'abisso della corruzione e dai rovi del peccato chiunque accetti la salvezza.

Se sei depresso, fatti coraggio, qualunque sia la gravità del tuo peccato! Non pensare che forse Dio perdonerà la tua colpa ammettendoti alla sua presenza... Dio ha già fatto il primo passo: quando tu eri in rivolta aperta contro dì lui, è venuto a cercarti. Commosso come il pastore della parabola, ha lasciato le novantanove pecore per andare nel deserto alla ricerca di quella perduta. Stringendo affettuosamente fra le braccia l'uomo ferito e vicino alla morte, lo riporta con gioia alla fida dimora.

I Giudei insegnavano che Dio ama il peccatore solo dopo che si è pentito. Secondo loro bisognava fare penitenza per guadagnarsi il favore celeste. Ecco perché i Farisei esclamavano stupiti e scandalizzati: "Costui accoglie i peccatori"! Secondo loro Cristo avrebbe dovuto tollerare intorno a sé solo quanti si erano pentiti, ma nella parabola della pecora smarrita il Salvatore insegna che noi non siamo salvati perché cerchiamo Dio, bensì perché Dio cerca noi: "Non v'è alcuno che abbia intendimento, non v'è alcuno che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati". Romani 3:11, 12. Noi non ci pentiamo affinché Dio ci ami, piuttosto Egli ci manifesta il suo amore per indurci a pentimento.

Quando la pecora smarrita è di nuovo al sicuro, il pastore esprime la sua riconoscenza con melodiosi canti di gioia, e invitando vicini e amici esclama: "Rallegratevi meco, perché ho ritrovato la mia pecora ch'era perduta". Luca 15:6. Similmente quando il supremo Pastore ritrova un peccatore errante, il cielo e la terra intonano un inno di lode e di ringraziamento.

"Così vi sarà in cielo più allegrezza per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti i quali non han bisogno di ravvedimento". Luca 15:7. Voi Farisei, voleva dire Cristo, vi ritenete i favoriti del cielo e fate affidamento sulla vostra giustizia personale, ma sappiate che, se credete di non aver bisogno di pentimento, io non sono venuto per voi! Sono venuto a salvare questi poveri esseri che sentono la loro miseria ed il loro peccato. Gli stessi angeli celesti s'interessano di queste anime perdute che voi disprezzate. Trovate da ridire e vi fate beffe quando qualcuno di loro si unisce a me, ma sappiate che gli angeli si rallegrano ed un canto di trionfo echeggia nei cortili celesti!

I rabbini avevano il "detto" che il cielo si rallegra quando un peccatore viene annientato, ma Cristo insegnava che l'opera della distruzione è estranea a Dio. Piuttosto tutto il cielo gioisce quando vede restaurata nelle creature l'immagine del Creatore.

Chi si e smarrito nei profondi abissi del peccato e vorrebbe ritornare a Dio, incontrerà sicuramente critiche e diffidenza. Metteranno in dubbio la sincerità del suo pentimento sussurrando: "È troppo instabile, non durerà molto". Invece di collaborare con Dio queste persone assecondano l'opera di Satana, l'accusatore dei fratelli. Tramite le loro critiche il maligno cerca di scoraggiare il peccatore spingendolo sempre più alla disperazione e lontano da Dio. Ma il peccatore pentito pensi quale gioia regna in cielo per il ritorno anche di un solo individuo che sembrava perduto! Abbia fiducia nell'amore di Dio e in nessun caso si lasci prendere dallo scoraggiamento in seguito al disprezzo ed alle insinuazioni di quanti si sentono giusti.

I rabbini pensavano che questa parabola di Cristo si applicasse ai pubblicani e ai peccatori, ma essa ha un significato più ampio. Con la pecora smarrita Cristo non rappresenta soltanto il singolo peccatore ma tutta questa terra, lontana da Dio e rovinata dal peccato. Il nostro mondo è nient'altro che un minuscolo atomo dell'immenso universo sul quale Dio regna, eppure questo piccolo mondo caduto -- la pecora smarrita -- ai suoi occhi è più prezioso degli altri novantanove rimasti nel gregge. Cristo, l'amato sovrano della famiglia celeste, ha abbandonato la sua alta posizione e deposto la gloria che godeva presso il Padre, per salvare questo mondo perduto. Lasciando i mondi immacolati dell'universo, i novantanove che lo amavano, è venuto in questa terra per essere "trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità". Isaia 53:5. Dio si è sacrificato nella persona del Figlio per avere la gioia di riguadagnare la pecora perduta.

"Vedete di quale amore ci è stato largo il Padre, dandoci d'esser chiamati figliuoli di Dio!" 1 Giovanni 3:1. E Cristo aggiunge: "Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo" (Giovanni 17:18), per compiere "ciò che resta ancora a compiere delle afflizioni di Cristo, per lo corpo d'esso, che è la chiesa". Colossesi 1:24 (Diodati). Tutti coloro che hanno trovato salvezza in Cristo sono chiamati ad operare nel suo nome per la salvezza dei perduti. Israele aveva trascurato questo compito, e i cosiddetti seguaci di Cristo oggi non fanno altrettanto?

Quante pecore smarrite hai già ritrovato tu, caro lettore, e riportato all'ovile? Quando hai messo da parte quelle persone che non ti facevano un'impressione molto promettente, ti rendevi conto di trascurare coloro che invece Cristo ricerca? Forse avevano maggiormente bisogno della tua pietà quando hai voltato loro le spalle. In ogni culto ci sono persone che bramano pace e riposo, e anche se ci sembrano indifferenti non sono insensibili all'influenza dello Spirito Santo, e molte si potrebbero guadagnare a Cristo.

Se nessuno la riporta all'ovile, la pecora smarrita continuerà a vagare fino alla morte. Similmente, quanti vanno in rovina perché nessuno tende loro una mano d'aiuto! Potranno sembrare duri o leggeri, ma se avessero goduto gli stessi vantaggi di altri forse avrebbero sviluppato un carattere più nobile e sarebbero stati più utili per la società. Gli angeli hanno pietà di questi esseri erranti e li compiangono, mentre gli occhi umani rimangono asciutti ed i cuori chiusi ad ogni moto di compassione.

Oh come ci manca quell'autentica comprensione per quanti sono tentati ed erranti! Ah se coltivassimo di più il sentimento di Gesù e meno, molto meno il nostro io!

I Farisei interpretarono questa parabola di Cristo come un rimprovero rivolto a loro. Invece di accettare le critiche che muovevano alla sua opera, Cristo condannava loro perché mettevano da parte pubblicani e peccatori. Non lo faceva apertamente, per non indurli ad una chiusura definitiva nei suoi confronti, ma la sua similitudine illustrava chiaramente quale opera Dio si attendeva da loro e che invece avevano ignorato. Se questi conduttori d'Israele erano dei veri pastori, dovevano anche svolgere il compito del pastore: manifestare l'amore e la misericordia di Cristo e collaborare con lui in questa missione. Il rifiuto di farlo dimostrava che la loro presunta religiosità non era altro che ipocrisia. A questo punto molti respinsero il rimprovero di Cristo, ma alcuni rimasero convinti da quelle parole e dopo l'ascensione del Salvatore ricevettero lo Spirito Santo e si unirono ai discepoli per compiere l'opera illustrata dalla parabola della pecora smarrita.

La dramma perduta

Dopo la parabola della pecora smarrita Cristo ne propose un'altra chiedendo: "Ovvero, qual è la donna che avendo dieci dramme, se ne perde una, non accenda un lume e non spazzi la casa e non cerchi con cura finché non l'abbia ritrovata?" Luca 15:8.

In oriente le case dei poveri erano costituite di solito da un'unica stanza spesso buia e senza finestre. Siccome spazzavano raramente il pavimento, era facile che una moneta caduta a terra si perdesse tra la polvere e i rifiuti. Per ritrovarla bisognava accendere una candela in pieno giorno e scopare accuratamente la casa.

La dote delle donne consisteva generalmente in alcune monete d'argento che esse conservavano gelosamente come il più prezioso tesoro da trasmettere poi alle figlie. Perdere una di queste monete significava una grave disgrazia e il ritrovarla suscitava una grande gioia alla quale le vicine si associavano volentieri.

"E quando l'ha trovata", continuò Gesù, "chiama assieme le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Cosi, vi dico, v'è allegrezza dinanzi agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede". Luca 15:9, 10.

Come la precedente, anche questa parabola tratta di un oggetto perduto e ritrovato dopo un'attenta ricerca e dell'esultanza che suscita il suo ritrovamento. Nondimeno le due parabole rappresentano due situazioni diverse. La pecora sa di essersi smarrita, di aver abbandonato il pastore ed il gregge e di non riuscire a trovare la via del ritorno: è un simbolo di quanti si rendono conto di essersi allontanati da Dio rimanendo impigliati in dubbi, umiliazioni e fiere tentazioni. La dramma perduta rappresenta invece coloro che si sono perduti nei loro falli e peccati senza neanche avere coscienza del loro stato. Si sono estraniati da Dio e non lo sanno. La loro anima è in pericolo, ma questo non li inquieta. In questa parabola Cristo insegna che Dio prova pietà e amore anche per coloro che rimangono indifferenti ai suoi appelli. Bisogna andare a cercarli per ricondurli a Dio.

La pecora si era separata dal gregge smarrendosi da sola nel deserto o sulle montagne, la dramma si perde invece in casa, e pur essendo lì vicino bisogna cercarla accuratamente per ritrovarla.

Questa parabola contiene una lezione per la famiglia: quanta indifferenza si manifesta spesso per la salvezza dei propri parenti più intimi! Uno di loro forse si è allontanato da Dio senza che gli altri familiari, ai quali Dio lo ha affidato, se ne preoccupino minimamente.

Pur trovandosi sotto la polvere ed i rifiuti, la dramma rimane una moneta d'argento e la proprietaria la cerca perché essa conserva il suo valore. Cosi tutti gli uomini rimangono preziosi di fronte a Dio anche se degradati dal peccato. Come la moneta reca l'effigie ed il nome del sovrano regnante, l'uomo alla creazione ricevette l'immagine e l'impronta del Creatore, e anche se il peccato l'ha macchiata ed alterata, alcune tracce sopravvivono in ogni individuo. Dio desidera riguadagnarci per imprimere nuovamente in noi la sua immagine di giustizia e santità.

La protagonista della parabola cerca attivamente, accende una candela e scopa l'abitazione rimovendo tutto ciò che le è di ostacolo nella ricerca, e non si dà tregua -- pur avendo perduto una sola moneta -- finché non la ritrova. Altrettanto dovrebbe accadere in casa nostra. Se uno dei membri della famiglia si è allontanato da Dio, non dobbiamo lasciare niente di intentato per riportarlo sulla retta via. Tutti gli altri familiari esaminino attentamente se stessi e la propria vita per accertare se non sia stato qualche loro errore ad indurre l'altro alla ribellione e all'ostinazione.

I genitori non si diano pace se nella famiglia c'è un figlio inconsapevole della sua condizione di peccato. Accendano la lampada, investighino la Parola di Dio ed esaminino accuratamente alla sua luce tutta la famiglia per scoprire perché questo figlio si è smarrito. Genitori, esaminate il vostro cuore e le vostre abitudini! I figli appartengono al Signore e noi ne siamo responsabili.

Quanti genitori lavorerebbero volentieri da missionari in terre lontane! Quanti contribuiscono attivamente, fuori della famiglia, alla proclamazione evangelica mentre i loro figli non sanno niente dell'amore del Salvatore! Rimettono al pastore o al monitore della Scuola del Sabato il compito di condurre i loro figli a Gesù, e non si accorgono di trascurare la responsabilità ricevuta da Dio. Educare i figli alla fede cristiana costituisce il servizio supremo che i genitori possano rendere a Dio, ma esso richiede tutta una vita di lavoro paziente e di sforzi accurati e perseveranti. Chi si dimostra trascurato in questo dovere è un amministratore infedele e Dio non accetterà scuse.

Se abbiamo sbagliato in questo senso, non facciamoci prendere dalla disperazione. La donna che aveva perduto la moneta continuò a cercarla finché non l'ebbe ritrovata, e allo stesso modo i genitori, con amore, fede e preghiera, si prendano viva cura della famiglia, finché potranno dire con gioia a Dio: "Ecco me, e i figliuoli che l'Eterno m'ha dati". Isaia 8:18.

Ecco la vera opera missionaria da svolgere in casa, utile sia per chi la fa che per chi la riceve. Interessandoci attivamente della nostra famiglia acquisiremo la capacità di lavorare per la famiglia spirituale di Dio con la quale, se rimaniamo fedeli a Cristo, vivremo per l'eternità. Dobbiamo manifestare ai nostri fratelli e sorelle in Cristo il medesimo interesse che abbiamo per i membri della nostra famiglia.

È nel piano divino che tutto questo ci prepari ad operare per gli altri. A mano a mano che la nostra simpatia e carità andranno crescendo, vedremo estendersi anche il nostro campo di attività. La grande famiglia di cui Dio è Padre abbraccia tutti gli uomini della terra e non bisogna trascurare nessuno.

Dovunque ci troviamo ci sono dramme perdute da cercare: lo stiamo facendo? Ogni giorno incontriamo persone che non vogliono saperne della fede: conversiamo con loro e le frequentiamo, ma ci preoccupiamo del loro benessere spirituale? Presentiamo Cristo, il Salvatore che perdona i peccati? Raccontiamo loro del suo amore che arde in noi? Se non lo facciamo, come potremo affrontare un giorno queste anime perdute per l'eternità e ritrovarci insieme di fronte al trono divino?

Sappiamo apprezzare il valore di un singolo individuo? Se proprio vogliamo saperlo, andiamo col pensiero al Getsemane, dove Gesù ha sofferto ore di angoscia sudando gocce di sangue. Ascoltiamo sulla croce del Calvario il Salvatore che grida disperato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato'?" Marco 15:34. Contemplate il capo ferito, il costato ed i piedi trafitti. Ricordate che Cristo ha subito tutto questo per noi, e che per la nostra redenzione il cielo stesso fu messo a repentaglio. Ai piedi della croce, tenendo presente che Cristo avrebbe dato la vita anche per un solo peccatore, potremo renderci conto del valore di un uomo!

Se siamo in comunione con Cristo sapremo apprezzare i nostri simili e proveremo per loro lo si esso amore che Egli ha provato per noi. Allora potremo attrarre e non respingere, guadagnare e non perdere coloro per i quali è morto. Nessuno avrebbe mai ritrovato la via che conduce al Padre se Cristo non si fosse impegnato personalmente per ognuno, e questo medesimo impegno personale viene richiesto da noi nella nostra attività a favore del regno di Dio. Non potremo più stare a guardare -- tranquilli e indifferenti -- l'umanità in corsa verso la rovina. Piuttosto, quanto più grave è il suo peccato e profonda la sua miseria, tanto più ardenti e teneri saranno i nostri sforzi per salvarla. Comprenderemo i bisogni di quanti soffrono, di coloro che hanno peccato contro Dio e sono oppressi dal fardello della colpa. lì nostro cuore traboccherà di simpatia per loro e saremo pronti a dar loro una mano di aiuto. Li porteremo a Cristo sorreggendoli con fede e carità, veglieremo su di loro per infondere nuovo coraggio e la nostra simpatia e fiducia li aiuterà a rimanere fermi sulla retta via.

Tutti gli angeli celesti sono pronti a collaborare con noi in quest'opera, tutte le risorse del cielo sono a nostra disposizione nella ricerca dei perduti. Gli angeli ci aiuteranno a raggiungere i peccatori più induriti e indifferenti, e quando uno di loro ritorna a Dio il cielo intero si rallegra. I serafini e i cherubini, facendo vibrare le loro arpe d'oro, cantano le lodi di Dio e dell'Agnello per la loro misericordia e bontà verso i figli degli uomini.