Principi di educazione cristiana

Capitolo 9

I metodi di Gesù

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La più convincente illustrazione dei metodi di Gesù come insegnante si trova nella preparazione dei dodici apostoli. Su di loro avrebbero dovuto gravare pesanti responsabilità ed egli li aveva appunto scelti perché erano uomini disposti a lasciarsi riempire del suo Spirito e a essere preparati per portare avanti la sua opera sulla terra, una volta che egli se ne fosse andato. A loro, più che a tutti gli altri, egli diede il vantaggio della sua presenza. Tramite il contatto personale, Gesù impresse la propria immagine su questi collaboratori da lui scelti. Giovanni, il discepolo amato, dice: "La vita è stata manifestata e noi l'abbiamo vista...". Giovanni 1:2.

Solo per mezzo della comunione dell'elemento umano con quello divino, mente con mente e cuore con cuore, poteva essere trasmessa quell'energia vivificatrice che l'educazione autentica può impartire.

Nella formazione dei discepoli, il Salvatore si attenne al metodo educativo stabilito alle origini. I primi dodici scelti da lui, con pochi altri che, per aiutarli, di quando in quando venivano in contatto, formavano la famiglia di Gesù. Lo accompagnavano nei suoi viaggi, ne condividevano prove e privazioni e, per quanto potevano, partecipavano all'opera da lui svolta.

Talvolta, egli insegnava mentre sedevano tutti insieme sui fianchi di un monte, altre volte sulla riva del mare, da una barca di pescatori o mentre camminavano per via. Sempre, quando Gesù parlava alla moltitudine, i discepoli si disponevano in circolo più vicino e gli si stringevano intorno per non perdere nulla delle sue istruzioni. Essi erano uditori attenti, con il desiderio ardente di comprendere quelle verità che poi avrebbero dovuto insegnare in ogni luogo e in tutti i tempi.

I primi allievi di Gesù furono scelti tra la gente comune. I pescatori della Galilea erano umili, illetterati, poco familiari con la dottrina e con le usanze dei rabbini; si erano, però, formati alla scuola della dura disciplina del lavoro e delle difficoltà. Erano uomini dotati di un'abilità naturale e di uno spirito ricettivo per cui potevano essere istruiti e modellati per l'opera del Salvatore. Vi sono nel mondo molti operai che svolgono pazientemnte i loro compiti quotidiani, inconsapevoli delle energie nascoste che, se stimolate, potrebbero fare di loro dei grandi condottieri nel mondo. Questi erano gli uomini che il Signore chiamò per essere suoi collaboratori. Essi ebbero anche il vantaggio di tre anni di formazione presso il più grande Educatore che il mondo abbia mai conosciuto.

In questi primi discepoli c'era un'accentuata diversità. Chiamati a essere maestri nel mondo, rappresentavano tanti differenti tipi di carattere. Matteo Levi, esattore delle tasse, chiamato da una vita di affari e di collaborazione con il nemico: Roma; Simone lo zelota, il nemico intransigente dell'autorità imperiale; Pietro, impulsivo e pieno di sé ma dal cuore ardente, con Andrea suo fratello; Giuda l'Iscariota (o uomo di Cariot, città della Giudea, ndt), uomo raffinato, capace, ma dallo spirito meschino; Filippo e Tommaso, sinceri e fedeli, sebbene un poco lenti a credere; Giacomo d'Alfeo e Giuda, meno in vista tra i fratelli, ma uomini forti, concreti sia nei difetti sia nelle virtù; Natanaele, un uomo sincero e fiducioso, qualità infantili ma autentiche e infine gli ambiziosi ma affettuosi ed espansivi figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni.

Per svolgere in modo efficace l'opera alla quale erano stati chiamati, questi discepoli, così differenti quanto a caratteristiche naturali, a preparazione e ad abitudini, avrebbero dovuto raggiungere l'unità di sentimenti, di pensiero e di azione. Per raggiungere questa unità, Cristo cercò di unirli a sé. Nella sua preghiera al Padre, Gesù espresse il fardello del suo impegno per loro: "...che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi... affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me". Giovanni 17:21, 23.

La potenza trasformatrice di Cristo

Dei dodici discepoli, quattro avrebbero avuto una parte di primo piano, e ognuno in modo diverso. Il Cristo, prevedendo ogni cosa, ebbe cura di prepararli proprio in vista di questo. Giacomo, destinato a una prematura morte per spada; Giovanni, che doveva più di tutti e per più tempo seguire il Maestro sia nell'opera sia nelle persecuzioni; Pietro, pioniere nell'abbattere le barriere secolari e nell'insegnare in un mondo pagano; Giuda, capace di superare i fratelli nel servizio, ma nel cui cuore si annidavano, però, delle intenzioni le cui implicazioni egli non immaginava nemmeno: questi uomini furono oggetto della più grande sollecitudine del Maestro che impartì loro le sue più frequenti e accurate istruzioni.

Pietro, Giacomo e Giovanni profittarono di ogni opportunità per ricercare una maggiore intimità con il Maestro, e il loro desiderio fu soddisfatto. Di tutti i dodici furono proprio loro a godere della relazione più profonda con lui. Giovanni poteva sentirsi appagato solo da una più stretta amicizia, e fu accontentato. A quel primo incontro sulle rive del Giordano, quando Andrea, avendo udito Gesù, si affrettò ad andare a chiamare suo fratello, Giovanni sedette muto, rapito nella contemplazione di temi meravigliosi. Egli seguì il Salvatore e fu sempre un uditore attento e appassionato.

Giovanni, però, non aveva un carattere irreprensibile tanto che lui e suo fratello furono chiamati "figli del tuono". Cfr. Marco 3:17. Giovanni era orgoglioso, ambizioso e combattivo, tuttavia, Gesù scorse in lui un cuore sincero e pieno di amore. Il Maestro rimproverò l'egoismo di Giovanni, ne disattese le ambizioni e ne mise alla prova la fede. A lui, però, rivelò quello che l'animo del discepolo tanto desiderava: la bellezza della santità, il suo amore che trasforma. Nella preghiera al Padre, Gesù disse: "Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo". Giovanni 17:6.

Giovanni, per temperamento, aveva un grande bisogno d'amore, di simpatia e di compagnia. Egli si stringeva a Gesù, gli sedeva al fianco, si appoggiava sul suo petto. Come il fiore si nutre del sole e della rugiada, così egli beveva la luce e la vita divine. Contemplava il Salvatore con amore e con adorazione, finché la somiglianza con Cristo e la comunione con lui divennero il suo unico desiderio, tanto che nel suo carattere fu riflesso il carattere del Maestro. "Vedete", egli diceva, "quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui". Giovanni 3:1.

Da debole a forte

La storia di nessun discepolo illustra, meglio di quella di Pietro, il metodo di formazione seguito da Cristo. Coraggioso, aggressivo, sicuro di sé, intuitivo e uomo d'azione, Pietro sbagliò spesso e spesso fu ripreso; tuttavia, la sua affettuosa lealtà e la sua devozione a Gesù furono riconoisciute ed elogiate. Il Salvatore trattò questo discepolo impetuoso con pazienza e amore, cercando di frenarne la sicurezza e di insegnargli l'umiltà, l'ubbidienza e la fiducia. Ma solo in parte la lezione fu assimilata: l'autosufficienza non fu del tutto sradicata.

Diverse volte Gesù cercò di anticipare ai discepoli le scene del suo processo e del suo martirio; ma la conoscenza di questi eventi futuri non era ben accetta, ed essi non compresero. L'autocommiserazione, che li allontanò dalla comunione con il Maestro durante le sue sofferenze, strappò a Pietro la protesta: "Dio non voglia! Questo non ti avverrà mai!" Matteo 16:22. Le sue parole esprimevano il pensiero e i sentimenti dei dodici.

Intanto la crisi si avvicinava e i discepoli, presuntuosi, continuavano a litigare sperando in alte posizioni, senza per nulla pensare alla croce.

L'esperienza del tradimento di Pietro fu una lezione per tutti. Per colui che confida in se stesso, le prove sono solo sconfitte. Il Cristo non poté impedire le conseguenze di un male non del tutto abbandonato; però, come aveva steso la mano per salvare Pietro mentre le onde stavano per inghiottirlo, così nel suo grande amore corse in suo aiuto quando le acque profonde erano sul punto di sommergerne la spiritualità. Varie volte, sull'orlo della rovina, le orgogliose parole di Pietro minacciarono di trascinarlo nel baratro; altrettante volte fu ripetuto l'avvertimento: "Tu negherai di conoscermi!" Cfr. Luca 22:34. L'apostolo, con il cuore rattristato e pieno di amore, aveva dichiarato: "Signore, sono pronto ad andare con te in prigione e alla morte!" Luca 22:33. E colui che legge nei cuori rivolse a Pietro quel messaggio, allora tenuto in poco conto, ma che più tardi, nel rapido infittirsi delle tenebre, doveva sprigionare un raggio di speranza: "Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convcrtito, fortifica i tuoi fratelli". Luca 22:31, 32.

Quando, nel cortile del sommo sacerdote, le parole del rinnegamento furono pronunciate; quando l'amore e la fedeltà del discepolo, risvegliati dallo sguardo di pietà, d'amore e di tristezza rivoltogli dal Salvatore, ricondussero Pietro in quel giardino dove Gesù aveva pregato e pianto; quando le lacrime causate dal suo rimorso caddero sul suolo, furono di sollievo al suo spirito le parole del Maestro. Il Cristo, avendo previsto la sua caduta, non lo aveva abbandonato alla disperazione.

Se lo sguardo che Gesù rivolse a Pietro fosse stato di condanna invece che di tenerezza, se nel predire il tradimento egli avesse trascurato di parlare di speranza, come sarebbero diventate fitte le tenebre che lo avvolgevano! Come sarebbe stata grande la disperazione di quello spirito tormentato! In quell'ora di angoscia e di disprezzo di se stesso, che cosa avrebbe potuto trattenere l'apostolo dal seguire il sentiero calcato da Giuda?

Colui che non poteva risparmiare l'angoscia al suo discepolo, non lo lasciò solo nell'amarezza. Questo è l'amore che non viene meno e che non abbandona.

Gli esseri umani, inclini al male, non possono leggere nel cuore, non ne conoscono le lotte e i dolori, perciò hanno bisogno di imparare a rimproverare con amore, a percuotere non per ferire ma per guarire, a esortare per infondere speranza.

Non fu Giovanni, che pure vegliò con Gesù nella corte del tribunale, che si tenne vicino alla croce e che per primo corse al sepolcro, ma Pietro a essere nominato dal Redentore dopo la risurrezione: "Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro", disse l'angelo, "che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete". Marco 16:7.

Nell'ultimo incontro del Maestro con gli apostoli sulla riva del mare, Pietro, messo alla prova per tre volte dalla domanda "Mi ami tu?", fu reintegrato nella sua posizione fra i dodici e ricevette un preciso incarico: pascere il gregge del Signore. Poi, come ultimo invito personale, Gesù gli disse: "Seguimi!" Cfr. Giovanni 21:17, 22. Ora Pietro poteva apprezzare le parole del Signore. Avendo conosciuto più a fondo la propria debolezza e la potenza del Maestor, egli era pronto a confidare e a ubbidire: poteva seguirlo contando sulla forza di Gesu.

Alla fine del suo ministero l'apostolo, un tempo così poco disposto a considerare la croce, stimò grande gioia deporre la propria vita per il Vangelo, ma ritenne un onore troppo grande per lui morire come Gesù.

La trasformazione di Pietro fu un miracolo della tenerezza divina: essa rappresenta una lezione di vita per tutti coloro che cercano di calcare le orme del Maestro dei maestri.

Una lezione di amore

Gesù rimproverò suoi discepoli, li esortò e li mise in guardia; ma Giovanni, Pietro e i loro fratelli non lo abbandonarono. Nonostante i rimproveri, essi scelsero di stare con lui che mai li abbandonò a causa dei loro errori. Il Salvatore accetta gli uomini come sono, con le loro colpe e debolezze, e li prepara per il suo servizio, se sono disposti a lasciarsi guidare e istruire da lui.

C'era fra i dodici, però, un discepolo al quale Cristo, sino quasi alla fine del suo ministero, non rivolse alcuna parola di diretto rimprovero.

Giuda introdusse fra i discepoli un elemento di antagonismo. Nell'unirsi al Maestro, Giuda aveva ceduto al fascino esercitato dal suo carattere e dalla sua vita. Egli aveva sinceramente desiderato cambiare se stesso e sperato di sperimentare questo attraverso la comunione con Gesù. Questo desiderio però, non divenne predominante: ciò che prevalse in Giuda fu la speranza di conseguire un vantaggio personale nel regno terreno che egli sperava sarebbe stato stabilito dal Messia. Pur riconoscendo la divina potenza dell'amore di Gesù, il discepolo non vi si sottomise e continuò a coltivare il proprio punto di vista, le proprie opinioni, la propria tendenza alla critica e alla condanna. I moventi e le azioni di Cristo, spesso così lontani dal suo modo di intendere le cose, suscitarono in lui dubbio e disapprovazione e a poco a poco le sue perplessità e le sue ambizioni furono comunicate agli altri discepoli. Molte discussioni per la supremazia e molta insoddisfazione per i metodi di Gesù furono provocate proprio da Giuda.

Il Salvatore, sapendo che contestare apertamente avrebbe contribuito solo a indurire il cuore dei discepoli, si astenne dal conflitto diretto, ma cercò di guarire il gretto egoismo di Giuda mettendolo in contatto con il proprio altruistico amore. Nei suoi insegnamenti espose i princìpi che colpivano alla radice le egoistiche ambizioni del discepolo. Diverse lezioni furono date, e più di una volta Giuda si rese conto che in quelle era stato delineato il suo carattere e che il suo peccato era stato messo in luce, ma non cedette.

Questa resistenza alla misericordia permise all'impulso del male di avere il sopravvento. Giuda, inasprito dal tacito rimprovero, esasperato dalla delusione dei suoi sogni ambiziosi, abbandonò il proprio spirito al demone dell'avidità e decise di tradire il Maestro. Dalla camera della cena pasquale, dalla gioia che veniva dalla presenza di Cristo, egli uscì a compiere la sua opera malefica.

"Gesù sapeva infatti fin dal principio chi erano quelli che non credevano, e chi era colui che lo avrebbe tradito" (Vangelo secondo Giovanni 6:64). Tuttavia, pur conoscendo ogni cosa, non aveva privato Giuda di nessuna azione misericordiosa, di nessun dono del suo amore.

Vedendo il pericolo che Giuda correva, lo aveva attirato a sé, nell'intimità del gruppo degli apostoli scelti e fidati. Giorno dopo giorno, mentre il peso sul cuore si faceva grandissimo, Gesù aveva sopportato il dolore del continuo contatto con quello spirito ostinato e sospettoso; e pur avendo notato quel costante, segreto e sottile antagonismo, si era impegnato per neutralizzarlo. Tutto questo fu compiuto perché a quella persona in pericolo non mancasse alcun influsso salutare.

Quanto a Giuda, l'opera d'amore svolta da Cristo verso di lui risultò vana. Per gli altri discepoli quello fu un esempio di tenerezza e di sopportazione che ispirò per sempre il loro atteggiamento verso i peccatori. Ma c'era dell'altro. Alla consacrazione dei dodici, questi avevano desiderato molto che anche Giuda facesse parte del loro gruppo. Egli era stato in contatto con il mondo più di loro, era dotato di acutezza e di grande capacità amministrativa; avendo un'alta stima delle proprie qualità, aveva indotto i discepoli a essere considerato alla stessa maniera. I metodi che egli desiderava introdurre nell'opera di Gesù, però, miravano ad assicurarsi il riconoscimento e l'onore del mondo. La progettazione di queste intenzioni nella vita di Giuda fece comprendere ai discepoli l'antagonismo esistente fra il desiderio di autoesaltazione e i princìpi di umiltà e di rinuncia manifestati da Cristo. Nella sorte di Giuda i discepoli videro qual è la fine di chi pensa solo a sé.

Per questi discepoli la missione di Gesù raggiunse il suo scopo. A poco a poco l'esempio e le lezioni di abnegazione trasformarono il loro carattere. La sua morte distrusse la loro speranza di terrena grandezza. La caduta di Pietro, l'apostasia di Giuda, la loro stessa defezione nell'abbandonare il Salvatore nell'ora dell'angoscia e del pericolo, spazzarono via i loro sentimenti di autosufficienza. Riconobbero la propria debolezza; intravidero qualcosa della grandezza dell'opera cui erano stati chiamati, e sentirono l'urgenza di essere sostenuti dalla guida del Maestro.

Molte delle sue lezioni non le avevano apprezzate o comprese sul momento; ma ora essi provavano il vivo desiderio di ricordarle, e di ascoltare ancora le sue parole. E con quanta gioia rievocarono la sua dichiarazione: "Il Consolatore... che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto". Giovanni 14:26.

I discepoli avevano visto Cristo ascendere al cielo dal monte degli Ulivi. Mentre i cieli lo accoglievano, era stata rinnovata la promessa: "Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente". Matteo 28:20. Essi sapevano che egli avrebbe continuato a simpatizzare con loro, e che potevano contare su un rappresentante, un avvocato presso il trono di Dio. Nel nome di Gesù essi presentavano le loro richieste, ripetendo la sua promessa: "In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà". Giovanni 16:23.

Fedele alla sua promessa, il Figlio di Dio, esaltato nelle corti celesti, impartì la sua pienezza ai suoi seguaci sulla terra. La sua intronizzazione alla destra di Dio fu resa evidente dall'effusione dello Spirito sui discepoli i quali erano stati indotti dall'opera di Cristo a sentire il bisogno dello Spirito e così, sotto la sua direzione, ricevettero la preparazione finale per svolgere il loro compito.

Non erano più né ignoranti né privi di cultura. Non erano più un insieme di unità indipendenti o di elementi discordi e in reciproco contrasto. Le loro speranze non erano più rivolte alla grandezza terrena. Erano "concordi", avevano una stessa mente e uno stesso spirito: Gesù riempiva i loro pensieri. Unica loro mèta era il progresso del suo regno. Nella mente e nel carattere erano diventati simili al Maestro, e la gente si rendeva conto che "erano stati con Gesù". Cfr. Atti 4:13.

Si ebbe dunque una tale rivelazione della gloria di Cristo quale mai era stata testimoniata prima da esseri mortali. Con la collaborazione dello Spirito divino l'impegno di quegli uomini umili, scelti dal Maestro, scosse il mondo e, nel volgere di una sola generazione, il Vangelo fu recato a ogni nazione.

Oggi, la presenza dello stesso Spirito che formò i discepoli di allora, produrrà gli stessi risultati nell'opera educativa. Questo è lo scopo cui tende la formazione; questa è l'opera che Dio desidera che sia compiuta.