Principi di educazione cristiana

Capitolo 16

Esempi di fede

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Nessuna parte nella Bibbia ha valore educativo più grande delle sue biografie: esse differiscono da tutte le altre in quanto sono vere. Solo colui che legge nei cuori e che conosce le sorgenti segrete dei moventi e delle azioni, può delineare con assoluta veracità un carattere o tracciare il quadro fedele di una vita umana. Solo nella Parola di Dio ciò può essere trovato.

La Bibbia insegna in modo chiaro che quello che noi facciamo deriva da quello che siamo. In larga misura le esperienze della vita sono il frutto dei nostri pensieri e delle nostre azioni. "...la maledizione senza motivo, non raggiunge l'effetto". Proverbi 26:2. "Ascolta, terra! Ecco, io faccio venire su questo popolo una calamità, frutto dei loro pensieri". Geremia 6:19.

Terribile è questa verità, e dovrebbe produrre una profonda impressione. Ogni azione ricade su chi la compie. Gli esseri umani possono riconoscere nei mali che rovinano la loro vita il frutto di ciò che essi stessi hanno seminato. Tuttavia, noi non siamo lasciati senza speranza.

Giacobbe fu trasformato

Per assicurarsi il diritto di primogenitura, che in base alla promessa di Dio era già suo, Giacobbe ricorse alla frode e ne raccolse come frutto l'odio di Esaù, suo fratello. Durante i venti anni dell'esilio, a sua volta egli subì torti e inganni e, per salvarsi, fu costretto a fuggire. Raccolse poi una seconda messe quando apparvero nei figli i difetti del proprio carattere, immagine fin troppo reale delle retribuzioni che riserva la vita umana.

Dio però dice: "'Io infatti non voglio contendere per sempre né serbare l'ira in eterno, affinché gli spiriti, le anime che io ho fatte, non vengano meno davanti a me. Per l'iniquità della sua cupidigia io mi sono adirato, e l'ho colpito; mi sono nascosto, mi sono indignato; ma egli, ribelle, ha seguito la via del suo cuore. Io ho visto le sue vie, e lo guarirò; lo guiderò e ridarò le mie consolazioni a lui e a quelli dei suoi che sono afflitti... Pace, pace a chi è lontano e a chi è vicino' dice il Signore, 'io lo guarirò!'" Isaia 57:16-19.

Giacobbe non fu sopraffatto dalla disperazione: si era pentito e si era sforzato di riparare il torto fatto al fratello. E quando fu minacciato di morte dall'ira di Esaù, si rivolse a Dio per ricevere aiuto, il quale "lo benedisse lì". Genesi 32:30. Rinvigorito dalla sua potenza, l'uomo graziato si rialzò, non più da ingannatore, ma come un principe di Dio. Giacobbe non aveva ottenuto liberazione solo dal fratello offeso, ma anche da se stesso. Vinta la forza del male insita nella propria natura, il suo carattere ne uscì trasformato. Rivedendo la storia della propria vita, egli riconobbe la virtù soccorritrice di Dio.

I figli di Giacobbe

La stessa esperienza si ripeté nella vita dei figli di Giacobbe. Dio non annulla le sue leggi e non agisce in contrasto con esse. Egli non cancella le conseguenze del peccato, ma le trasforma. Per sua grazia, la maledizione può diventare una fonte di benedizione.

Tra i figli di Giacobbe, Levi fu uno dei più crudeli e vendicativi, uno dei due più colpevoli nell'eccidio dei Sichemiti. Le caratteristiche di Levi, riprodottesi nei suoi discendenti, si attirarono la sentenza divina: "Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele". Genesi 49:7. Il pentimento però determinò una riforma e, grazie alla loro fedeltà a Dio nonostante l'apostasia delle altre tribù, la maledizione si trasformò in un segno di supremo onore.

"In quel tempo il Signore separò la tribù di Levi per portare l'arca del patto del Signore, per stare davanti al Signore, per servirlo e per dare la benedizione nel nome di lui, come ha fatto fino a questo giorno". Deuteronomio 10:8.

Designati per essere ministri del santuario, i Leviti non ricevettero alcuna eredità terriera. Vivevano insieme in città messe a parte per loro, e traevano il loro sostentamento dalle decime, dai doni e dalle offerte consacrati al servizio di Dio. Maestri del popolo, ospiti in tutte le feste, erano onorati ovunque come servi e rappresentanti del Signore. All'intera nazione era stato ordinato: "Guardati bene, tutto il tempo che vivrai nel tuo paese, dal trascurare il Levita". Deuteronomio 12:19. "...Levi non ha parte né eredità con i suoi fratelli; il Signore è la sua eredità". Deuteronomio 10:9.

Conquista per fede

La verità secondo la quale una persona è quello che pensa viene ben illustrata anche dall'esperienza d'Israele. Sulle frontiere di Canaan le spie, reduci dall'esplorazione del paese, presentarono il loro rapporto. La bellezza e la fertilità della terra furono perse di vista a causa del timore delle difficoltà che vi scorsero. Le città fortificate, i guerrieri giganteschi, i carri di ferro fecero tentennare la loro fede. Non tenendo in nessun conto Dio, la moltitudine fece eco alla decisione delle spie incredule: "Noi non siamo capaci di salire contro questo popolo, perché è più forte di noi". Numeri 13:31. Parole che si avverarono: essi non poterono salire, e perirono nel deserto.

Due delle dodici spie andate a esplorare il paese, però, ragionarono in modo diverso: "Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo" (Numeri 13:30); insistettero, contando sulla promessa di Dio ben superiore ai giganti, alle città fortificate e ai carri di ferro. Anche le loro parole si avverarono perché, pur condividendo con i loro increduli fratelli i quarant'anni di peregrinazioni nel deserto, Giosuè e Caleb entrarono nella terra promessa. Coraggioso come al momento in cui era uscito con le schiere d'Israele, Caleb chiese e ottenne il suo possedimento proprio nel cuore della fortezza dei giganti. Con la forza di Dio, egli sconfisse i Cananei e le vigne e gli ulivi di quelli diventarono sua proprietà. I codardi e i ribelli morirono nel deserto, ma gli uomini di fede, Caleb e Giosuè, mangiarono le uve della valle di Escol.

Non c'è verità maggiormente evidenziata dalla Bibbia del pericolo che si corre allontanandosi da ciò che è giusto: pericolo per chi agisce male e per chi ne può subire l'influsso. L'esempio ha una valenza enorme: se è dalla parte della nostra naturale tendenza verso il male, diventa quasi irresistibile.

Nel mondo, la più grande roccaforte del male non è la vita empia del peccatore incallito né dell'abietto emarginato ma quella che invece sembra virtuosa, onorevole e nobile, che però nasconde un peccato, un vizio accarezzato. Per l'anima che in segreto lotta contro qualche forte tentazione e che trema sull'orlo del baratro, tale esempio è uno dei più forti incentivi al male. Coloro che, pur avendo un concetto elevato della vita, della verità e dell'onore, trasgrediscono di proposito un precetto della santa legge di Dio, hanno pervertito i loro nobili talenti e ne hanno fatto un'esca per il peccato. In tal modo genio, talento, simpatia, perfino azioni nobili e gentili, possono diventare un tranello di Satana per sedurre le anime e condurle nell'abisso della rovina.

Per questo Dio ci ha lasciato tanti esempi che indicano i risultati anche di una sola azione sbagliata. Dalla triste storia del primo peccato che introdusse la morte nel mondo, a quella dell'uomo che per trenta monete d'argento vendette il Signore della gloria, le biografie della Bibbia abbondano di esempi messi là come segnali di avvertimento.

Mancanza di fede di Elia

C'è pure l'avvertimento a prendere nota dei risultati derivanti dal cedere anche una sola volta alla debolezza e all'errore umani, frutto dell'abbandono della fede.

Per una sola mancanza di fede, Elia abbreviò l'opera della sua vita. Gravoso era il peso che aveva sopportato in favore d'Israele; fedeli erano stati gli avvertimenti da lui dati contro l'idolatria nazionale; profonda era stata la sua sollecitudine quando, durante i tre anni e mezzo di carestia, aveva aspettato e sperato in qualche segno di pentimento. Egli solo fu dalla parte di Dio sul monte Carmelo. Grazie alla forza della fede, l'idolatria fu vinta e la pioggia tanto attesa testimoniò delle grandi benedizioni pronte a scendere su Israele. Allora, stanco e debole, il profeta fuggì davanti alle minacce di Izebel e, solo nel deserto, pregò chiedendo di morire: la sua fede era venuta meno. Egli non era più capace di compiere l'opera iniziata. Dio gli disse allora di ungere un altro perché fosse profeta al posto suo.

Il Signore però aveva tenuto conto del servizio reso dal suo servitore con tutto il cuore. Elia non doveva morire nello scoraggiamento e nella solitudine del deserto; non doveva scendere in una tomba, ma salire con gli angeli sino alla presenza della gloria di Dio.

Queste biografie affermano quello che un giorno ogni essere umano comprenderà: il peccato può determinare solo vergogna e perdita, e l'incredulità condurre al fallimento; la misericordia di Dio però raggiunge incommensurabili profondità, e la fede innalza l'anima pentita per ricevere in eredità l'adozione come figlio o figlio di Dio.

Disciplina della sofferenza

Tutti coloro che in questo mondo servono fedelmente Dio e il prossimo ricevono una formazione preparatoria alla scuola dell'afflizione. Più pesante è la responsabilità, più importante il servizio; più intensa è la prova, più severa la disciplina.

Studiate le esperienze di Giuseppe e Mosè, di Daniele e Davide. Confrontate la storia dei primi anni di Davide con quella di Salomone e notate le conseguenze.

In gioventù Davide fu molto vicino a Saul. Il suo soggiorno a corte e l'unione con la famiglia reale gli permisero di conoscere le preoccupazioni, le contrarietà, e le perplessità che si celano dietro lo splendore e la pompa della regalità. Egli si rese conto così del poco valore che ha la gloria umana per la pace dello spirito. Così, con sollievo e gioia ritornava dalla corte del re alla cura del gregge.

Quando la gelosia di Saul lo costrinse a fuggire nel deserto Davide, tagliato fuori da ogni protezione umana, si appoggiò più fortemente a Dio. L'incertezza e l'inquietudine della vita nel deserto, i suoi incessanti pericoli, la necessità di frequenti fughe, il carattere di quanti si erano raccolti intorno a lui (cfr. 1 Samuele 22:2), lo indussero a una severa disciplina. Queste esperienze suscitarono e svilupparono in lui la capacità di trattare con gli uomini, di simpatizzare con gli oppressi, di odiare l'ingiustizia. Durante gli anni di attesa e di pericolo, Davide imparò a trovare in Dio conforto, appoggio e vita. Apprese che solo grazie alla potenza del Signore sarebbe potuto salire al trono, e solo grazie alla sua saggezza sarebbe stato capace di regnare. Fu per la preparazione conseguita alla scuola della privazione e del dolore che Davide, nonostante il grave peccato che più tardi macchiò la sua vita, può essere ricordato come colui che "regnò su tutto Israele, amministrando il diritto e la giustizia a tutto il suo popolo". 2 Samuele 8:15.

La disciplina cui fu sottoposto Davide in gioventù mancò invece a Salomone. Per circostanze, carattere e vita, questi parve favorito più di ogni altro. Nobile in gioventù, e nell'età virile prediletto da Dio, Salomone cominciò a regnare con le migliori prospettive di onore e di prosperità. I popoli erano meravigliati della conoscenza e della perspicacia di quest'uomo che Dio aveva dotato di saggezza. Però l'orgoglio di tanto benessere lo indusse a separarsi da Dio. Dalla gioia della comunione con Dio, Salomone si volse per cercare soddisfazione nei piaceri dei sensi. Della sua esperienza egli riferisce: "Io intrapresi grandi lavori; mi costruii case; mi piantai vigne; mi feci giardini, parchi, e vi piantai alberi fruttiferi... comprai servi e serve... accumulai argento, oro e le ricchezze dei re e delle province... Così divenni grande e superai tutti quelli che erano stati prima di me a Gerusalemme... Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità, un correre dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole". Ecclesiaste 2:4-11. "Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento. Ho anche odiato ogni fatica che ho sostenuto sotto il sole...". Ecclesiaste 2:17, 18.

Dalla sua amara esperienza, Salomone riconobbe la vanità di una vita che cerca il supremo bene nelle cose di questo mondo. Egli eresse altari a divinità pagane, e comprese come sia vana la loro promessa di dar riposo all'anima. Nei suoi ultimi anni, stanco e assetato a causa delle rotte cisterne terrene, Salomone ritornò a dissetarsi alla fonte della vita. La storia degli anni sprecati, con la grande lezione di avvertimento che essi contenevano, fu da lui ricordata, mosso dallo Spirito. Così, nonostante il suo cattivo esempio che condusse il popolo a raccogliere una gran messe di mali, l'opera della vita di Salomone non fu una completa sconfitta. Per lui, alla fine, la disciplina dell'afflizione realizzò il suo compito.

Con questo inizio, la vita di Salomone avrebbe potuto essere gloriosa, se fin da giovane avesse imparato la lezione che la sofferenza aveva insegnato ad altri.

La prova di Giobbe

Per quelli che amano Dio e che sono "chiamati secondo il suo disegno" (Romani 8:28), la biografia biblica contiene una lezione maggiore di quella che deriva dalla scuola della sofferenza. "...voi me ne siete testimoni, dice il Signore; io sono Dio" (Isaia 43:12): testimoni che egli è buono e che la sua bontà è perfetta.

L'altruismo, su cui si fonda il regno di Dio, è odiato da Satana il quale ne nega perfino l'esistenza. Fin dall'inizio del grande conflitto, egli si è sforzato di dimostrare che i princìpi sottintesi alle azioni di Dio sono egoistici, e fa altrettanto con chiunque serve il Signore. L'opera di Cristo e di quanti portano il suo nome consiste nello smentire le affermazioni di Satana.

Gesù venne sulla terra in forma umana per darci un'illustrazione di altruismo con la sua vita. Tutti coloro che accettano questo principio devono collaborare con lui e rivelarlo nella loro vita pratica. Scegliere ciò che è giusto per amore della giustizia, stare dalla parte della verità a costo della sofferenza e del sacrificio, questa "'... è l'eredità dei servi del Signore, la giusta ricompensa che verrà loro da me' dice il Signore". Isaia 54:17.

Molto presto nella storia del mondo troviamo il racconto della vita di un uomo che dovette subire un conflitto da parte di Satana.

Colui che legge i cuori rese di Giobbe la seguente testimonianza: "...Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male". Contro quest'uomo Satana portò la sua sprezzante accusa: "È forse per nulla che Giobbe teme Dio? Non lo hai forse circondato di un riparo, lui, la sua casa e tutto quello che possiede?... Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia". Il Signore disse a Satana: "Ebbene, tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stendere la tua mano sulla sua persona". Cfr. Giobbe 1:8-12.

Satana, allora, con il permesso di Dio, tolse a Giobbe tutto quello che possedeva: greggi e mandrie, servi e serve, figli e figlie, e "...colpì Giobbe di un'ulcera maligna dalla pianta dei piedi alla sommità del capo". Giobbe 2:7.

Un'altra amarezza fu aggiunta al suo calice: gli amici di Giobbe, vedendo nelle sue avversità la giusta retribuzione del peccato, aggravarono il suo spirito afflitto con accuse di presunte colpe da lui commesse.

Apparentemente abbandonato dal cielo e dalla terra Giobbe, pur mantenendo intatta la fiducia in Dio e consapevole della propria integrità, con angoscia e perplessità gridò: "Io provo disgusto della mia vita". "Oh, volessi tu nascondermi nel soggiorno dei morti, tenermi occulto finché l'ira tua sia passata, fissarmi un termine, e poi ricordarti di me!" Giobbe 10:1; Giobbe 14:13.

"Ecco, mi uccida pure! Oh, continuerò a sperare". Giobbe 13:15. "Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno i miei occhi, non quelli d'un altro...". Giobbe 19:25-27; cfr. Giobbe 19:7-21; Giobbe 23:3-10.

A Giobbe fu fatto secondo la sua fede: "Se mi mettesse alla prova, ne uscirei come l'oro". Giobbe 23:10. Così avvenne. Con la sua paziente sopportazione, egli vendicò l'offesa fatta al suo carattere e al carattere di colui che egli rappresentava. E "...il Signore lo ristabilì nella condizione di prima e gli rese il doppio di tutto quello che già gli era appartenuto... Il Signore benedì gli ultimi anni di Giobbe più dei primi". Giobbe 42:10-12.

Gionatan e Giovanni il battista

Nella lista di coloro che con la rinuncia di se stessi hanno partecipato alle sofferenze di Cristo, ci sono anche i nomi di Gionatan e di Giovanni il battista.

Gionatan, per nascita erede al trono, pur sapendosi messo da parte per decreto divino, fu il più fedele e caro amico del suo rivale Davide, che protesse a rischio della propria vita. Rimase al fianco del padre nei giorni bui del suo declinante potere, e cadde infine con lui sul campo di battaglia. Il nome di Gionatan è conservato nei cieli come un tesoro ed è, sulla terra, una testimonianza resa all'esistenza e alla potenza dell'amore disinteressato.

Giovanni il battista, alla sua apparizione come messaggero del Messia, sconvolse la nazione. Dovunque andava era seguito da vaste moltitudini di gente di ogni ceto e posizione. Quando però venne colui del quale egli aveva reso testimonianza, tutto cambiò. La folla seguì Gesù e l'opera del Battista parve finita. La sua fede, però, non vacillò; infatti egli disse: "Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca". Giovanni 3:30.

Il tempo passò e quel regno che Giovanni aveva fiduciosamente atteso non fu stabilito. Nel carcere di Erode, privato dell'aria vivificatrice e della libertà del deserto, Giovanni attese e vegliò.

Non ci fu impiego di armi, non ci fu apertura delle porte della prigione; però la guarigione degli ammalati, la predicazione del Vangelo, l'elevazione delle anime degli uomini, testimoniarono della missione di Cristo.

Solo e imprigionato, vedendo avvicinarsi a poco a poco la conclusione del suo cammino, come sarebbe stato per il Maestro, Giovanni accettò la sua missione: la comunione con Cristo nel sacrificio. I messaggeri del cielo lo accompagnarono alla tomba. Le intelligenze dell'universo, decaduto e non, resero testimonianza del suo servizio disinteressato.

In tutte le generazioni successive, le anime sofferenti sono state sorrette dalla testimonianza della vita di Giovanni. In carcere, sul patibolo, tra le fiamme, uomini e donne durante i secoli di oscurità sono stati fortificati dal ricordo di colui del quale Gesù disse: "In verità io vi dico, che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista". Matteo 11:11.