I tesori delle testimionianze 1

Capitolo 42

Le sofferenze del Cristo

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Per poter apprezzare pienamente il valore della salvezza è necessario comprenderne il costo. Molti attribuiscono scarsa importanza all'opera della redenzione perché hanno un'idea molto limitata delle sofferenze del Cristo. Il glorioso piano della salvezza fu realizzato grazie all'amore infinito di Dio. In questo piano si manifesta in modo sublime l'amore divino per l'umanità che si è concretizzato nell'amore del Figlio e ha riempito di stupore gli angeli stessi. "Poiché Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna". Giovanni 3:16. Il Salvatore, lo splendore della gloria del Padre e l'immagine della sua persona, possedeva la maestà, la perfezione e l'eccellenza divine. Egli era uguale a Dio. "Il quale, essendo in forma di Dio non riputò rapina l'essere uguale a Dio, ma annichilì se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini; ed essendo trovato nell'esteriore come un uomo, abbassò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce". Filippesi 2:6-8.

Il Cristo acconsentì a morire al posto del peccatore, affinché l'uomo, grazie a una vita di ubbidienza, potesse sottrarsi alla pena decretata dalla legge di Dio. La sua morte non annullò la legge, non la eliminò, non ne sminuì le esigenze, non tolse nulla alla sua sacra dignità. La morte del Cristo proclamò la giustizia della legge del Padre nella punizione del trasgressore, in quanto il Figlio di Dio scontò la pena richiesta dalla legge per poter salvare l'uomo peccatore, sottraendolo alla meritata condanna. Questa morte sulla croce rivela l'eternità della legge di Dio, la esalta, la onora e dà all'uomo la prova del suo carattere immutabile. Dalle stesse labbra del Redentore furono pronunciate le parole: "Non pensate ch'io sia venuto per abolire la legge od i profeti; io son venuto non per abolire ma per compire". Matteo 5:17. La morte del Cristo era necessaria per soddisfare le esigenze della legge.

Il Salvatore umano e divino

In Cristo erano presenti la dimensione divina e umana. La sua missione consisteva nel riconciliare Dio e l'uomo, nell'unire il finito all'infinito. Questo era l'unico modo per riscattare l'uomo caduto e, grazie ai meriti del sacrificio del Cristo, renderlo partecipe della natura divina. Il Cristo, assumendo la natura umana, era in grado di comprendere le prove, le sofferenze dell'uomo e anche le tentazioni a cui è soggetto. Gli angeli, non conoscendo il peccato, non potevano simpatizzare con l'uomo nelle sue prove. Il Cristo, così, acconsentì a rivestire la natura umana e fu tentato in ogni cosa come noi per poter conoscere e sapere come soccorrere coloro che sono tentati.

Nel rivestire l'umanità egli sentì il bisogno di ricevere forza dal Padre. Gesù aveva scelto alcuni luoghi particolari per pregare, perché amava incontrarsi con il Padre e trascorrere dei momenti in comunione con lui, nella solitudine della montagna. Grazie a questa abitudine, si sentiva fortificato in vista dei compiti e delle difficoltà di ogni giorno. Il Salvatore si identificò con le nostre necessità e con le nostre debolezze e prese l'abitudine di pregare di notte per attingere dal Padre nuove forze per essere rinfrancato, pronto per l'opera che doveva svolgere e per superare le difficoltà. Egli è il nostro esempio in ogni cosa, è nostro fratello nelle nostre debolezze, ma non nelle nostre passioni. Senza peccato, egli fuggiva il male. Sopportò lotte e tormenti in un mondo in cui regnava il peccato. La sua umanità reclamava la necessità e il privilegio della preghiera. Chiese il sostegno e il conforto che il Padre era pronto a concedergli perché aveva lasciato le gioie del cielo e scelto di venire ad abitare in un mondo inospitale e ingrato per salvare l'uomo. Il Cristo trovò consolazione e gioia nella comunione con il Padre. Ne riceveva sollievo per le tristezze che opprimevano il suo cuore. Gesù fu un "uomo di dolore, familiare col patire".

Il nostro esempio

Durante il giorno Gesù si impegnava in favore del prossimo, per salvare gli uomini dalla rovina. Guariva gli ammalati, consolava gli afflitti, infondeva gioia e speranza nei depressi, risuscitava i morti. Sera dopo sera, alla fine delle attività della giornata, egli si allontanava dalla confusione della città e si rifugiava in qualche luogo appartato per supplicare il Padre. Talvolta i raggi della luna illuminavano il suo corpo prostrato in preghiera. Talvolta, invece, era circondato da fitte tenebre. La rugiada e la brina della notte cadevano sul suo capo. Spesso continuava a pregare fino al mattino. Gesù è il nostro esempio. Se lo ricordassimo e lo imitassimo, saremmo molto più forti in Dio.

Se il Salvatore degli uomini, con la sua forza divina, sentì il bisogno della preghiera, quanto più i peccatori deboli e mortali dovrebbero sentire la necessità di una preghiera fervente e costante! Quando il Maestro era particolarmente esposto alla tentazione non mangiava: si affidava a Dio e grazie a ferventi preghiere, con assoluta sottomissione alla volontà del Padre, risultava vincitore. Quelli che, al di sopra di ogni altra categoria di cristiani, professano la verità per questi ultimi tempi, devono imitare, nella preghiera, il suo esempio.

"Basti al discepolo di essere come il suo maestro, e al servo d'essere come il suo signore..." Matteo 10:25. Spesso le nostre tavole sono imbandite, ma di cose non sane, non necessarie, che piacciono perché non si sa rinunciare ai propri gusti e non si tiene conto della salute e del sano equilibrio mentale. Gesù chiedeva con fervore al Padre la forza necessaria, perché la considerava più preziosa del sedersi davanti alla tavola più ricca. Egli ci ha dimostrato che la preghiera è una condizione indispensabile per ricevere la forza di affrontare le potenze delle tenebre e compiere l'opera affidataci. La nostra forza è debolezza, però il vigore che Dio dà è tanto grande da rendere vincitore chiunque lo riceva.

Nel Getsemani

Mentre il Figlio di Dio si inginocchiava in preghiera nel giardino del Getsemani, l'angoscia del suo spirito faceva uscire dai suoi pori sudore simile a grosse gocce di sangue. I peccati del mondo gravavano su di lui: egli soffriva al posto dell'uomo come trasgressore della legge di suo Padre. Fu, quello, un momento di grandi tentazioni. La divina luce del Padre svaniva a poco a poco e lo lasciava in balìa delle tenebre. Il Cristo, nella sua angoscia, si accasciò al suolo: gli sembrava di vedere il volto adirato del Padre. Prendendo il calice della maledizione dalle mani dell'uomo, si accingeva a berlo per offrirgli, in cambio, quello della benedizione. Su di lui si sarebbe riversata l'ira divina che avrebbe dovuto abbattersi sulla creatura colpevole. Il misterioso calice tremava nella sua mano.

Gesù, spesso, si era recato nel Getsemani con i suoi discepoli per meditare e per pregare. Tutti conoscevano quel sacro rifugio. Anche Giuda sapeva dove guidare la folla omicida per tradire Gesù e darlo nelle sue mani. Mai prima di allora il Salvatore si era recato in quel luogo con il cuore gonfio di dolore. Egli non fuggiva affatto davanti alla sofferenza fisica. Quando le sue labbra espressero quello che lo turbava disse agli apostoli: "...L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate meco". Matteo 26:38.

Lasciando i discepoli, si allontanò un po', si gettò a terra e pregò. Il suo spirito era angosciato: "Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi". Matteo 26:39. I peccati di un mondo decaduto ricadevano su di lui e si sentiva sopraffatto. Il suo cuore era straziato dal sentimento dell'ira del Padre, conseguenza del peccato. Il suo dolore era tale che dalla fronte gli sgorgavano grosse gocce di sangue che scivolavano lungo le sue pallide guance e cadevano bagnando il suolo.

"Vegliate e pregate"

Rialzatosi, si avvicinò ai discepoli e li trovò addormentati. Disse a Pietro: "...Così, non siete stati capaci di vegliar meco un'ora sola? Vegliate ed orate, affinché non cadiate in tentazione; ben è lo spirito pronto, ma la carne è debole". Matteo 26:40, 41. Nel momento più delicato, quando Gesù aveva raccomandato loro di vegliare con lui, i discepoli avevano ceduto al sonno. Egli sapeva che davanti a loro si profilavano ardui conflitti e forti tentazioni. Li aveva presi con sé proprio perché lo sostenessero e perché gli eventi di quella notte e le lezioni che ne avrebbero tratto rimanessero impressi nella loro mente. Egli voleva che la loro fede non vacillasse e che fossero fortificati in vista delle prove che li attendevano.

Invece di vegliare con il Cristo, si erano lasciati vincere dalla tristezza e si erano addormentati. Perfino il focoso Pietro, che poche ore prima aveva affermato di essere disposto non solo a soffrire, ma anche a morire per il Signore, ora dormiva. Proprio nell'ora più critica, quando il Figlio di Dio aveva bisogno del loro affetto e delle loro preghiere, i discepoli dormivano. Con quel sonno essi persero molte altre cose. Il nostro Salvatore voleva fortificarli per la difficile prova della fede a cui sarebbero stati ben presto esposti. Se essi avessero trascorso quel triste periodo vegliando con l'amato Salvatore e pregando Dio, Pietro non sarebbe stato sopraffatto dalla sua debolezza e non avrebbe rinnegato il Salvatore.

Il Figlio di Dio si allontanò per la seconda volta e pregò: "...Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza ch'io lo beva, sia fatta la tua volontà". Matteo 26:42. Egli tornò nuovamente dai discepoli e li trovò addormentati; questa situazione è simile a quella della chiesa che dorme mentre si avvicina il giorno del giudizio di Dio. È un tempo di nubi e di fitte tenebre, un tempo in cui addormentarsi è pericolosissimo.

Gesù ci ha lasciato questo avvertimento: "Vegliate dunque perché non sapete quando viene il padron di casa: se a sera, o a mezzanotte, o al cantar del gallo o la mattina; che talora, venendo egli all'improvviso, non vi trovi addormentati". Marco 13:35, 36. La chiesa di Dio è invitata a vegliare, anche se si trattasse di un periodo pericoloso e la vigilanza dovesse prolungarsi. La tristezza non è affatto una scusa per essere meno attenti. La sofferenza non deve condurre alla trascuratezza, ma a una maggiore vigilanza. Il Cristo, con il suo esempio, ha diretto la chiesa alla Fonte della forza nell'ora del bisogno, delle difficoltà e del pericolo. L'atteggiamento di vigilanza serve a definire la chiesa come popolo di Dio. Con questo segno, coloro che aspettano si distaccano dal mondo e dimostrano di essere pellegrini e stranieri sulla terra.

Il Salvatore, rattristato, si allontanò nuovamente dai discepoli addormentati e per la terza volta pregò ripetendo le stesse parole. Poi tornò e disse loro: "...Dormite pure oramai, e riposatevi! Ecco, l'ora è giunta, e il Figliuol dell'uomo è dato nelle mani dei peccatori". Matteo 26:45. Com'era crudele, da parte dei discepoli, permettere che il sonno chiudesse loro gli occhi, che il torpore imprigionasse i loro sensi, mentre il divino Maestro provava un'angoscia mortale! Se fossero rimasti vigilanti, non avrebbero perso la loro fede vedendo il Figlio di Dio morire sulla croce.

Questa veglia sarebbe stata contraddistinta da una profonda lotta e da preghiere che avrebbero permesso agli apostoli di essere testimoni della grande angoscia del Figlio di Dio. Essi sarebbero stati in grado, nel contemplare le sue sofferenze sulla croce, di capire qualcosa della natura di quella straordinaria angoscia sopportata nel giardino del Getsemani. Essi sarebbero stati in grado di ricordare meglio le parole pronunciate in rapporto alle sue sofferenze, alla sua morte e alla sua risurrezione. Così, nell'oscurità di quell'ora tragica, alcuni raggi di speranza avrebbero fugato le tenebre e sorretto la loro fede.

Il Cristo aveva detto loro, in anticipo, che tutto questo si sarebbe verificato, ma essi non capirono. La scena delle sue sofferenze doveva rappresentare un'ardua prova per i discepoli, ecco perché era necessario vigilare e pregare. La loro fede aveva bisogno di essere sostenuta da una forza invisibile, mentre essi contemplavano l'ora del trionfo della potenza delle tenebre.

Un'angoscia inesprimibile

Possiamo avere solo una pallida idea dell'inesprimibile angoscia del Figlio di Dio nel Getsemani, quando egli sentì la sua separazione dal Padre a causa del peccato dell'uomo. Egli aveva assunto questa responsabilità per l'umanità decaduta. La sensazione di abbandono da parte del Padre suggeriva al suo spirito queste parole angosciate: "...L'anima mia è oppressa da tristezza mortale... se è possibile, passi oltre da me questo calice!" Poi, con assoluta sottomissione alla volontà del Padre: "Ma pure, non come voglio io" disse "ma come tu vuoi". Matteo 26:38, 39.

Il divino Figlio dell'Altissimo era allo stremo delle forze. Il Padre, allora, inviò un suo messaggero perché lo incoraggiasse e lo aiutasse a percorrere la via del sacrificio. Se gli uomini avessero potuto vedere la sorpresa e la tristezza delle schiere angeliche mentre in silenzio osservavano il Padre che privava il Figlio della sua luce, del suo amore e della sua gloria, avrebbero compreso meglio quanto il peccato fosse insopportabile agli occhi di Dio. La spada della giustizia si abbatteva sull'Unigenito che, tradito con un bacio e consegnato nelle mani dei nemici, fu trascinato davanti a un tribunale terreno dove fu deriso e condannato a morte. Il Figlio di Dio fu "...trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità..." Egli sopportò insulti, scherni e oltraggi: "...tanto era disfatto il suo sembiante sì da non parer più un uomo, e il suo aspetto sì da non parer più un figliuol d'uomo". Isaia 53:5; 52:14.

Un amore incomprensibile

Chi può comprendere questo amore? Le schiere angeliche contemplavano con profonda tristezza colui che era stato il Re del cielo e aveva portato la corona della gloria; ora camminava tra una folla furibonda, accecata da una vera follia, sospinta dall'ira di Satana. Contempliamo Gesù che soffrì pazientemente! Sulla sua fronte era stata posta una corona di spine. Da ogni vena lacerata scorreva il sangue. Tutto questo era la conseguenza del peccato. Soltanto un amore eterno, che rimarrà sempre un mistero, poteva indurre il Cristo ad abbandonare gli onori e la maestà celesti, venire in un mondo di peccato, per essere disprezzato e rifiutato da coloro che era venuto a salvare e per soffrire sulla croce.

Stupite cieli! O terra contempla l'oppressore e l'oppresso! Ecco, una grande folla circonda il Salvatore del mondo. Beffe e insulti si alternano a bestemmie terribili. La sua modesta nascita e la sua umile vita sono commentati da miserabili senza cuore. La sua pretesa di essere il Figlio di Dio è messa in ridicolo dai sacerdoti e dagli anziani, mentre si odono volgarità e insulti. Satana, per dominare completamente le menti, si impossessa dei sommi sacerdoti e degli anziani, accecandoli di frenesia religiosa a tal punto che essi finiscono per essere sospinti dallo stesso spirito di Satana che influiva sugli individui più vili e scellerati. I sentimenti di tutti erano corrotti: da quelli dei sacerdoti ipocriti e degli anziani a quelli della folla depravata. Il Cristo, il prezioso Figlio di Dio, era stato portato via con la croce sulle spalle. Dalle sue ferite sgorgava il sangue. Circondato da un'immensa folla di acerrimi nemici e di spettatori ostili, il Figlio di Dio fu condotto alla croce. "Maltrattato, umiliò se stesso, e non aperse la bocca. Come l'agnello menato allo scannatoio, come la pecora muta dinanzi a chi la tosa, egli non aperse la bocca". Isaia 53:7.

Sulla croce

I discepoli, rattristati, lo seguono a distanza, dietro la folla omicida. Lo vedono inchiodato sul legno, sospeso fra cielo e terra. Quanto dolore nel cuore degli apostoli che vedono l'amato Maestro costretto a soffrire come un criminale! Vicino alla croce ci sono i sacerdoti e gli anziani che, spinti da cieco fanatismo e incredulità, ridono, scherniscono, sbeffeggiano: "Tu che disfai il tempio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, se tu sei Figliuol di Dio, e scendi giù di croce! Similmente, i capi sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano: Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d'Israele, scenda ora giù di croce, e noi crederemo in lui. S'è confidato in Dio; lo liberi ora, s'Ei lo gradisce, poiché ha detto: Son Figliuol di Dio". Matteo 27:40-43.

Gesù non risponde. Mentre i chiodi vengono piantati nelle sue mani e le gocce di sudore, negli spasimi dell'agonia, gli sgorgano dai pori, sulle labbra pallide e tremanti della vittima innocente sfugge un lieve sussurro; è una preghiera di perdono per i carnefici: "...Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno..." Luca 23:34. Tutto il cielo segue con profondo interesse la scena. Il glorioso Redentore di un mondo perduto soffre a causa delle trasgressioni umane alla legge di Dio. Egli sta per riscattare il suo popolo con il proprio sangue, per soddisfare le giuste esigenze della santa legge di Dio. È questo il mezzo per mettere la parola fine al peccato, a Satana e alle sue schiere malvage.

Quali terribili sofferenze è stato costretto a sopportare il Salvatore! Era la consapevolezza del dispiacere del Padre che rese il calice così amaro. Non è stata la sofferenza fisica a mettere fine così rapidamente alla vita del Cristo, ma il peso insopportabile dei peccati del mondo e la percezione dello sdegno del Padre celeste. Aveva perso la gloria e la presenza del Padre. Gesù si trovava ormai immerso nelle fitte tenebre che lo circondavano e che strapparono alle sue labbra il grido: "...Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Matteo 27:46.

Gesù aveva partecipato insieme al Padre alla creazione del mondo e ora, in mezzo alle angosciose sofferenze del Figlio di Dio, solo gli uomini ciechi e sviati rimanevano indifferenti. I sacerdoti e gli anziani deridevano il Figlio di Dio agonizzante. La natura, invece, dimostrò la sua simpatia per il Creatore che stava morendo. La terra tremò, il sole perse il suo splendore, i cieli si oscurarono. Gli stessi angeli, che erano stati fino a quel momento testimoni del martirio, si nascosero davanti all'orribile spettacolo. Il Cristo moriva! Abbattuto, si sentiva solo. Il sorriso del Padre era scomparso e gli angeli non potevano più venire ad alleviare l'angoscia di quell'ora fatale: potevano solo guardare, attoniti, il loro amato Capo, il Re del cielo, che soffriva a causa delle trasgressioni umane della legge del Padre.

Il culmine della sofferenza

Il Figlio di Dio fu assalito anche dal dubbio. Egli non poteva vedere oltre la porta del sepolcro; nessuna luce di speranza, in quel momento, risplendeva per annunciare che sarebbe uscito vincitore dalla tomba e che il Padre avrebbe accettato il suo sacrificio. Il peccato del mondo, in tutto il suo orrore, gravava sul Figlio di Dio con il suo peso opprimente. La disapprovazione divina del peccato, le sue conseguenze e la morte erano tutto ciò che il Cristo riusciva a vedere attraverso quelle fitte tenebre. Egli era tentato di pensare che il peccato fosse così offensivo agli occhi del Padre, che egli non potesse riconciliarsi con il Figlio. Il timore che il Padre lo avesse abbandonato per sempre lo spinse a gridare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"

Il Cristo provava quello che un giorno proveranno i peccatori quando su di essi si abbatteranno le piaghe dell'ira di Dio. La più cocente disperazione assalirà gli uomini colpevoli ed essi si renderanno conto dell'estrema gravità del peccato. La salvezza è stata acquistata tramite le sofferenze del Figlio di Dio ed è a loro disposizione se l'accettano con gioia e spontaneamente. Nessuno, però, è costretto a ubbidire alla legge di Dio. Se gli uomini rifiutano le benedizioni divine e scelgono i piaceri e le seduzioni del peccato, sperimenteranno la morte, come conseguenza della scelta fatta, e saranno separati per sempre dalla presenza di Gesù, di cui hanno disprezzato il sacrificio. Perderanno, così, una vita di felicità e sacrificheranno la gloria eterna per godere degli effimeri piaceri del peccato.

Nell'agonia del Cristo la fede e la speranza vacillavano perché non provava più la certezza dell'approvazione e dell'accettazione che il Padre aveva precedentemente accordato al Figlio. Il Redentore del mondo era sempre stato confortato dalle prove con le quali il Padre dimostrava l'accettazione della sua opera e confermava il suo favore. Ma nella sua agonia, prima di morire, poteva aggrapparsi soltanto tramite la fede a colui a cui aveva sempre ubbidito con gioia. Non era più illuminato da fulgidi raggi di speranza; profonde tenebre l'opprimevano. In mezzo a quella fitta oscurità la natura soffriva con lui; il Redentore bevve dal misterioso calice sino all'ultima goccia. Privo di ogni speranza e fiducia nel trionfo che lo attendeva, gridò: "...Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio..." Luca 23:46. Egli conosceva il Padre: la sua giustizia, la sua misericordia, il suo grande amore e si abbandonò fiducioso e sottomesso nelle sue mani. Fra gli sconvolgimenti della natura echeggiarono le ultime parole di colui che moriva sul Calvario.

La natura partecipò alle sofferenze del suo Creatore. I cieli si aprirono, le rocce si spaccarono per annunciare che colui che stava morendo era il Figlio di Dio. Ci fu un grande terremoto e la cortina del tempio si squarciò in due. Il terrore si impadronì dei carnefici e degli spettatori nel vedere il sole oscurato, nel sentire il terremoto scuotere la terra sotto i loro piedi e nel contemplare le rocce che si spaccavano. Gli scherni e gli oltraggi dei sacerdoti e degli anziani cessarono quando il Cristo rimise il suo spirito nelle mani del Padre. La folla attonita iniziò a ritirarsi e si diresse, a tentoni, verso la città avvolta nelle tenebre. Battendosi il petto, mentre tornavano a casa terrorizzati, sussurravano gli uni agli altri: "È stato ucciso un innocente. E se fosse davvero, come hanno detto, il Figlio di Dio?"

"È compiuto!"

Gesù morì dopo aver compiuto l'opera per la quale era venuto sulla terra; ecco perché il suo ultimo grido fu: "... È compiuto!..." Giovanni 19:30. Satana era stato sconfitto; sapeva ormai di aver perso il suo potere. Gli angeli si rallegrarono quando udirono le parole: "È compiuto!" Il grande piano della salvezza, che dipendeva dalla morte del Cristo, era stato pienamente realizzato. In cielo regnava la gioia perché in tal modo i figli di Adamo potevano, mediante una vita di ubbidienza, avvicinarsi al trono di Dio. Quale amore straordinario spinse il Figlio di Dio a venire sulla terra per assumersi le nostre colpe, perché fossimo riconciliati con Dio ed essere un giorno innalzati sino a lui, per abitare nel suo regno! Quale valore ha l'uomo perché sia stato pagato un prezzo così elevato per il suo riscatto?

Quando uomini e donne riusciranno a comprendere veramente la grandezza del sacrificio del Re del cielo che è morto al posto dell'uomo, il piano della salvezza sarà esaltato e gli effetti dell'esperienza del Calvario risveglieranno nel cuore del credente tenere, sacre e vive emozioni. Allora saliranno dal cuore alle labbra inni di lode a Dio e all'Agnello. Orgoglio e presunzione non possono fiorire nei cuori che conservano viva nella memoria le scene del Golgota. Questo mondo apparirà di scarsa importanza agli occhi di coloro che apprezzano il grande valore della redenzione dell'uomo: il prezioso sangue del diletto Figlio di Dio. Tutte le ricchezze del mondo non sono sufficienti per redimere anche un solo uomo. Chi può misurare l'amore che il Cristo provò per un mondo perduto, quando era inchiodato sulla croce e soffriva per i peccati degli uomini colpevoli? Questo amore era immenso, infinito.

L'amore più forte della morte

Offrendo la sua vita per la salvezza dell'uomo il Cristo ha rivelato che il suo amore è più forte della morte. Pur dovendo sostenere la lotta più accanita contro le potenze delle tenebre, il suo amore si rafforzava. Egli sopportò la separazione dal Padre e questo lo spinse a gridare con angoscia: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Il prezzo che assicurava la nostra redenzione fu pagato quando, nell'ultima lotta, il Cristo esclamò: "Ogni cosa è compiuta!"

Molti, pur definendosi cristiani, si preoccupano dei loro affari e si entusiasmano per nuovi ed eccitanti divertimenti, mentre sono tiepidi, per non dire addirittura gelidi, nei confronti dell'opera di Dio. Essa, invece, è importante e può appassionare, perché implica interessi eterni. Rimanere calmo e indifferente di fronte a questo soggetto è peccato. Le scene del Calvario suscitano profonda emozione ed entusiasmo. Infatti la nostra mente e la nostra immaginazione non potranno mai comprendere pienamente come il Cristo, così perfetto e così innocente, abbia subito una morte simile portando su di sé il peso dei peccati del mondo. Non possiamo investigare la lunghezza, la larghezza, la profondità e l'altezza di questo amore. La contemplazione dell'insuperabile profondità dell'amore del Salvatore dovrebbe illuminare la mente, conquistare l'anima, affinare ed elevare gli affetti, trasformare completamente il carattere. Ecco quanto scriveva l'apostolo Paolo: "poiché mi proposi di non saper altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso". 1 Corinzi 2:2. Anche noi possiamo pensare al Calvario e dire: "Ma quanto a me, non sia mai ch'io mi glori d'altro che della croce del Signor nostro Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso, e io sono stato crocifisso per il mondo". Galati 6:14.

Considerando a quale prezzo fu acquistata la nostra redenzione, quale sarà la sorte di chi trascura questa salvezza? Quale sarà la punizione per coloro che si definiscono discepoli di Gesù e non ubbidiscono alle sue richieste, non prendono su di loro la croce con umiltà e non lo seguono da Betlemme al Golgota? Gesù disse: "...chi non raccoglie con me, disperde". Matteo 12:30.

Una visione limitata del sacrificio del Cristo

Alcuni hanno una visione limitata del sacrificio del Cristo e pensano che non abbia sofferto molto pagando la pena prevista dalla legge di Dio. Essi pensano che il Figlio di Dio, pur provando il peso dello sdegno del Padre e le grandi sofferenze fisiche, avesse la certezza dell'amore e dell'accettazione di Dio. Secondo loro egli sapeva che la morte che lo attendeva era illuminata dalla speranza e aveva anche la certezza della gloria futura. È un grande errore. La maggiore sofferenza del Cristo era provocata proprio dalla sensazione di non godere più del favore del Padre ed era di tale intensità che l'uomo può averne solo una pallida idea.

Per molti la storia della sottomissione, dell'umiliazione e del sacrificio del divino Salvatore non suscita nessun interesse particolare e non produce nessun effetto sulla loro vita come la storia della morte dei martiri cristiani. Molti hanno subito la morte in seguito a lente torture; altri sono morti sulla croce. Qual è la differenza? Gesù morì sulla croce: una morte crudele; anche altri, però, per amor suo, hanno sofferto terribili sofferenze fisiche. Perché, allora, quelle del Cristo erano più crudeli di quelle di altri che hanno offerto, per amor suo, la loro vita? Se le sofferenze del Cristo fossero state semplicemente fisiche, allora la sua morte non sarebbe stata più dolorosa di quella di altri martiri.

La sofferenza fisica, però, rappresentava solo una piccola parte dell'agonia del Cristo. Egli portava i peccati del mondo e percepiva la profonda separazione dal Padre, in quanto scontava la pena decretata dalla legge infranta. La sensazione dello sdegno del Padre che si era allontanato, dandogli così l'impressione di essere stato abbandonato, schiacciò la sua anima divina. Questo provocò in Cristo un enorme sconforto. La separazione che il peccato crea fra Dio e l'uomo fu percepita, in tutto il suo orrore, da colui che era innocente. Egli era oppresso dalle potenze delle tenebre senza che nessun raggio di luce venisse a dargli una speranza. Lottava contro Satana che pretendeva di averlo in suo potere, di essere più forte di lui, e dichiarava che il Padre aveva rinnegato il Figlio che, quindi, non godeva il favore di Dio più di quanto non lo godesse egli stesso. Infatti, se Dio gli era ancora favorevole che necessità ci sarebbe stata di morire? Dio poteva benissimo salvarlo dalla morte.

Il Cristo, però, non cedette minimamente al crudele nemico, neppure nel momento dell'angoscia suprema. Legioni di demoni circondavano il Figlio di Dio, mentre i santi angeli avevano ricevuto l'ordine di non infrangere quel cerchio e di non combattere contro quei nemici beffardi e offensivi. Gli angeli celesti non avevano il permesso di consolare lo spirito angosciato del Figlio di Dio. Fu in quell'ora di tenebre, mentre il Padre rimaneva nascosto, mentre legioni di demoni lo circondavano da ogni lato, mentre il peso dei peccati del mondo gravava su di lui, che Gesù lanciò il grido: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"

Il valore di un uomo

La morte dei martiri non può essere paragonata a quella del Figlio di Dio. Dovremmo avere una visione più ampia della vita, delle sofferenze e della morte del Figlio. Quando l'opera di espiazione è valutata correttamente, si riesce a comprendere il valore infinito che Dio attribuisce alla salvezza degli uomini. Rispetto alla vita eterna tutto il resto è insignificante. Eppure, con quanto disprezzo vengono considerati i consigli del nostro Salvatore! Il nostro cuore, spesso, è così legato al mondo che gli interessi egoistici chiudono la porta al Figlio di Dio. Ipocrisia, orgoglio, egoismo, interesse, invidia, malizia, passione hanno riempito il cuore di molti al punto tale che per il Cristo non c'è più posto.

Egli era ricco, eppure per amor nostro è diventato povero perché potessimo arricchirci. Era rivestito di luce e di gloria, circondato da schiere di angeli pronti a eseguire i suoi ordini, eppure rivestì la nostra natura e decise di vivere fra uomini peccatori. Tutto ciò dimostra un amore che nessun linguaggio può esprimere e che supera ogni conoscenza.

Grande è "il mistero della pietà"! Dobbiamo sentirci sollevati, edificati e rapiti dall'amore del Padre e del Figlio. I discepoli del Cristo devono imparare a trasmettere in qualche modo quell'amore misterioso che li preparerà a unirsi ai redenti, quando proclameranno "...A Colui che siede sul trono e all'Agnello siano la benedizione e l'onore e la gloria e l'imperio, nei secoli dei secoli". Apocalisse 5:13.

Il Cristo diede se stesso, quale sacrificio espiatorio, per la salvezza del mondo. Egli fu trattato come noi meritavamo, affinché potessimo essere trattati come egli meritava. Egli fu condannato per i nostri peccati, che non aveva condiviso, perché potessimo essere giustificati tramite la sua giustizia, a cui non avevamo nessun diritto. Egli subì la morte che era stata decretata per noi, affinché ricevessimo la vita che gli apparteneva: "...per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione". Isaia 53:5. -- Testimonies for the Church 8:208, 209 (1904).

Il tema preferito del Cristo era il carattere del Padre e l'infinito amore di Dio. Questa profonda conoscenza dell'Eterno fu il dono del Cristo agli uomini e questo dono egli lo affidò al suo popolo perché, a sua volta, lo comunicasse al mondo. -- Testimonies for the Church 6:55 (1900).